L'oppressione: il contesto e la nascita di Mosè

Lezione 1, terzo trimestre, 28 giugno-4 luglio 2025

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Sabato pomeriggio 28 giugno

Testo da memorizzare:

« Nel lungo corso di quegli anni, il re d'Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti e se ne prese pensiero. Esodo 2:23-25


Gli egiziani avevano venduto al faraone il bestiame e le terre e con questo atto si erano condannati per sempre alla schiavitù. Con molta saggezza Giuseppe li liberò, offrendo loro la possibilità di essere degli affittuari. In questo modo avrebbero mantenuto le loro proprietà, ora in possesso del re, pagando al sovrano un tributo annuale corrispondente a un quinto dei prodotti del loro lavoro. PP 200.1

I figli di Giacobbe ricevettero un trattamento diverso. In cambio del servizio reso da Giuseppe all’Egitto, fu concesso loro di abitare in una parte del paese. Inoltre, furono esentati dalle tasse e riforniti di provviste sufficienti a superare l’intero periodo della carestia. Il faraone aveva riconosciuto che l’intervento del Dio d’Israele aveva determinato la prosperità dell’Egitto, in un tempo in cui le altre nazioni morivano di fame. La politica di Giuseppe aveva notevolmente arricchito il suo regno e il sovrano manifestò la sua riconoscenza circondando di favori la famiglia di Giacobbe. PP 200.2

Domenica, 29 giugno

Il popolo di Dio in Egitto


Leggi Esodo 1:1-7. Quale verità fondamentale si trova qui?

Il tempo passò e il grande uomo a cui l’Egitto avrebbe dovuto manifestare una profonda gratitudine morì, insieme alla generazione che aveva tratto beneficio dal suo intervento. Poi “...sorse sopra l’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe”. Esodo 1:8. Egli era al corrente dei favori che Giuseppe aveva reso alla nazione, ma non voleva riconoscerli: anzi, per quanto era nelle sue possibilità, intendeva farli dimenticare. PP 200.3

Leggi Esodo 1:8-11. Qual era la situazione degli Israeliti al tempo dell'Esodo?

Gli israeliti, infatti, erano diventati molto numerosi; essi “...furon fecondi, moltiplicarono copiosamente, diventarono numerosi e si fecero oltremodo potenti, e il paese ne fu ripieno”. Esodo 1:7. Grazie alla protezione di Giuseppe e al favore del precedente sovrano, erano aumentati così rapidamente da diffondersi in tutto il paese. Tuttavia, per usanze e religione, essi avevano mantenuto la loro identità di popolo. PP 200.5

Il loro moltiplicarsi aveva suscitato i timori del faraone e del popolo: essi pensavano, infatti, che in caso di guerra gli israeliti si sarebbero alleati con i nemici dell’Egitto. D’altra parte, un preciso interesse politico impediva la loro espulsione dal paese: molti di loro erano operai abili e competenti, il cui lavoro arricchiva notevolmente la nazione. Il re stesso aveva bisogno di questa manodopera per la costruzione dei suoi magnifici palazzi e dei templi. Egli incluse gli ebrei nella classe sociale di quegli egiziani che avevano venduto tutti i loro possedimenti alla corona e li sottopose a dei sorveglianti: il loro asservimento divenne totale. “...E gli Egiziani presero in avversione i figliuoli d’Israele, e fecero servire i figliuoli d’Israele con asprezza, e amareggiaron loro la vita con dura servitù adoprandoli nei lavori d’argilla e di mattoni, e in ogni sorta di lavori nei campi. E imponevano loro tutti questi lavori, con asprezza... Ma più l’opprimevano, e più il popolo moltiplicava e s’estendeva...”. Esodo 1:12, 13. PP 200.6

Lunedì, 30 giugno

Il contesto storico


Qual è stata la chiave del sorprendente successo di Giuseppe in Egitto dopo un inizio così difficile? (Genesi 37:26-28 e Genesi 39:2, 21)

Anni prima che Israele entrasse in Egitto, Dio nella Sua provvidenza (Genesi 45:5) influenzò Giacobbe affinché confezionasse una tunica di molti colori per il suo figlio più giovane, Giuseppe. Questa apparente parzialità, insieme al sogno di Giuseppe e all'interpretazione che ne diede suo padre (Genesi 37:10), provocò la gelosia dei fratelli, che lo vendettero come schiavo e lo portarono in Egitto per impedirgli di soppiantarli in influenza e posizione. Ma lì in Egitto il Signore, a tempo debito, lo elevò al secondo trono del regno, poi fece venire anni di abbondanza e anche anni di carestia, come mezzo per trasferire tutta la famiglia di Giacobbe in Egitto.

Nel loro disperato tentativo di sbarazzarsi di Giuseppe per evitare di essere governati da lui, i suoi fratelli riuscirono solo (suscitando il potenziale sempre attento della Provvidenza) ad esaltarlo al trono amministrativo d'Egitto e a umiliarsi ai suoi piedi. Ecco una prova evidente che chi cerca di contrastare i disegni di Dio riesce solo a contrastare i propri e a promuovere quelli di Dio.

Le difficoltà che Giuseppe incontrò nella sua vita furono in realtà per il suo bene e lo prepararono a diventare un interprete dei sogni, un re e senza dubbio il più grande economista che il mondo abbia mai conosciuto. Dio aveva osservato che Giuseppe faceva tutto come se fosse suo e, inoltre, era costantemente consapevole del fatto che Dio era il suo Signore e che nulla poteva essere nascosto a Lui. Fu questa convinzione che fece capire a Giuseppe che, indipendentemente da ciò che gli uomini gli facevano o dicevano di lui, solo Dio aveva il controllo della sua vita. Pertanto, nella prosperità e nella fama Giuseppe mantenne la sua lealtà e integrità; e nelle avversità Giuseppe non sprecò il suo tempo attribuendo ad altri la causa delle sue difficoltà. Al contrario, si comportava in modo tale da raccomandarsi anche alla regalità, poiché è improbabile che gli Ismaeliti avrebbero potuto venderlo a Potifar se non fosse stato una persona superiore.

«E il Signore era con Giuseppe, che era un uomo prospero e stava nella casa del suo padrone, l'egiziano. Il suo padrone vide che il Signore era con lui e che il Signore faceva prosperare tutto ciò che egli faceva. Giuseppe trovò grazia ai suoi occhi e lo serviva; lo nominò sovrintendente della sua casa e gli affidò tutto ciò che aveva... Giuseppe era bello di aspetto e di portamento». Genesi 39:2-4, 6. Ma ancora una volta gli toccò subire rovesci di fortuna sui quali non aveva alcun controllo, e finì in prigione dove la sua eccellente personalità e la sua fedeltà gli valsero ancora una volta la libertà e, inoltre, fu promosso alla più alta carica del paese.

Martedì 1 luglio

Le levatrici ebree


Leggi Esodo 1:9-21. Quale ruolo chiave hanno svolto le fedeli levatrici e perché sono ricordate nella storia?

Il re e i suoi consiglieri avevano sperato di piegare Israele sotto il peso della fatica. In questo modo, essi intendevano indebolirlo dal punto di vista numerico, soffocandone lo spirito d’indipendenza. Il fallimento del loro progetto determinò il ricorso a un espediente più crudele. Tutte le levatrici ricevettero infatti l’ordine di sopprimere alla nascita i neonati ebrei di sesso maschile. Satana aveva ispirato quest’ordine: egli sapeva che tra gli israeliti sarebbe sorto un liberatore. Inducendo il re a uccidere i bambini ebrei, sperava di vanificare il progetto divino. Ma le levatrici ebbero timore di Dio e non osarono eseguire quel terribile comando. Il Signore approvò la loro decisione e le protesse. Allora il re, adirato per l’insuccesso del suo piano, allargò e inasprì l’applicazione dell’ordine, ordinando a ogni egiziano di individuare e uccidere le vittime inermi. “Allora Faraone diede quest’ordine al suo popolo: Ogni maschio che nasce, gettatelo nel fiume; ma lasciate vivere tutte le femmine”. Esodo 1:22. PP 201.1

«Ma le levatrici temevano Dio e non fecero come aveva ordinato loro il re d'Egitto, ma lasciarono in vita i bambini maschi». Esodo 1:17... «Il nome dell'una era Shiphrah e il nome dell'altra Puah». Versetto 15. Il significato di questi nomi è: «Bellezza» e «splendore». Ed è proprio così. Sarebbe stato impossibile per due levatrici assistere la grande moltitudine di donne, ma il fatto è che erano solo due...

Il Faraone ordinò a tutto il suo popolo: «Ogni figlio maschio che nascerà, gettatelo nel fiume, ma ogni figlia femmina lasciatela in vita». Esodo 1:20, 22. Lo scopo principale del piano del Faraone non era quello di ridurre il numero del popolo. Se questo fosse stato il suo obiettivo, avrebbe dovuto uccidere le femmine, poiché a quei tempi praticavano la poligamia. Se avesse dato ordine di gettare nel fiume le bambine e di risparmiare i maschi, avrebbe potuto raggiungere il suo scopo e anche aumentare il numero dei suoi schiavi, poiché erano gli uomini a produrre i mattoni. Leggiamo in Patriarchi e profeti, pagina 242: «Satana era l'istigatore di questa faccenda. Egli sapeva che un liberatore sarebbe sorto tra gli Israeliti e, spingendo il re a distruggere i loro figli, sperava di vanificare il proposito divino. “

Mercoledì, 2 luglio

Nasce Mosè


Leggi Esodo 2:1-10. Quale ruolo hanno avuto la provvidenza e la protezione di Dio nella storia della nascita di Mosè?

Durante l’esecuzione del decreto nacque un figlio ad Amram e Jokebed, due devoti israeliti della tribù di Levi. Era davvero un bel bambino. I genitori, credevano che il tempo della liberazione d’Israele fosse vicino: Dio avrebbe presto suscitato un liberatore per il suo popolo. Così, essi decisero di non permettere il sacrificio del piccolo. La loro fede in Dio li incoraggiò a tal punto che “...non temettero il comandamento del re”. Ebrei 11:23. PP 201.2

La madre riuscì a nascondere il bambino per tre mesi. Con il passare del tempo, vedendo che non era più possibile tenerlo, se non con gravi rischi per la sua vita, preparò un cesto di giunchi, lo rese impermeabile con bitume e pece e vi pose il neonato. Poi lo nascose tra le piante, presso la riva del fiume. Non ebbe il coraggio di rimanere a sorvegliarlo, perché temeva per la vita di entrambi. Sua figlia Miriam, però, che si teneva a una certa distanza, osservava con attenzione, ansiosa di vedere quale sarebbe stata la sorte del fratellino. Ma Miriam non era la sola a occuparsi del bimbo. Con appassionate preghiere, la madre aveva affidato il piccolo alla protezione di Dio. Alcuni angeli invisibili, che vegliavano sulla fragile culla, condussero la figlia del faraone in quella direzione. La curiosità della donna egiziana fu attratta da quella piccola cesta. Non appena ella vide quel magnifico bambino, comprese subito quali fossero le sue origini. Le lacrime del piccolo la commossero e provò simpatia per la madre sconosciuta che era ricorsa a un simile strattagemma per preservare la preziosa vita della sua creatura. Decise di salvare il neonato: l’avrebbe adottato come figlio. Miriam aveva osservato di nascosto tutta la scena: intuendo che il bambino era in buone mani, si avvicinò con circospezione e domandò: “...Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che t’allatti questo bimbo?” Esodo 2:7. Il permesso le fu accordato. La fanciulla corse dalla madre per portarle la lieta notizia e ritornò subito con lei dalla figlia del faraone. “...Porta via questo bambino, allattamelo, e io ti darò il tuo salario” (Esodo 2:9) disse la principessa. PP 201.3

Dio aveva ascoltato le preghiere di quella madre: la sua fede era stata ricompensata. Con profonda gioia e gratitudine, ella si dedicò in piena libertà al suo importante incarico di educatrice. Approfittò di ogni opportunità per insegnare al bambino la fede in Dio; era sicura che fosse stato salvato per compiere una grande missione. Jokebed sapeva che un giorno avrebbe dovuto restituire il piccolo alla madre adottiva: da quel momento, egli sarebbe stato circondato da influssi che facilmente avrebbero potuto allontanarlo da Dio. Perciò si dedicò alla sua educazione con una cura superiore a quella che aveva dimostrato per gli altri figli. Cercò di imprimere nella mente del piccolo il rispetto per Dio e l’amore per la verità e la giustizia; pregò intensamente affinché egli potesse essere protetto da ogni influsso negativo. Gli fece comprendere l’insensatezza e la gravità del culto agli idoli e il fanciullo imparò molto presto a ubbidire e a pregare l’unico vero Dio, il Dio d’Israele, il solo che potesse ascoltarlo e liberarlo da ogni pericolo. PP 202.1

Trattenne il ragazzo con sé per tutto il tempo che le fu possibile, ma quando ebbe circa dodici anni fu costretta a lasciarlo. Dopo essere vissuto in un’umile capanna, Mosè fu ammesso al palazzo reale, presso la figlia del faraone, che lo considerò “come un figlio”. Tuttavia anche in questa sua nuova condizione il ragazzo non dimenticò gli insegnamenti materni, appresi durante l’infanzia: essi lo protessero dai pericoli rappresentati dall’orgoglio, dall’infedeltà e dal vizio, così frequenti in quella splendida corte. PP 202.2

Come furono importanti i risultati dell’educazione impartita da quella donna ebrea, benché schiava e in esilio! Tutta la vita di Mosè, la grande missione che egli realizzò come capo d’Israele, attestano il valore dell’opera di una madre cristiana. Questo è il più importante dei compiti. La madre è in gran parte responsabile del destino dei propri figli; occupandosi di formarne la mente e il carattere, la sua azione ha una portata che va al di là del tempo, perché coinvolge la salvezza dell’individuo. Ella getta un seme che germoglierà e porterà frutto, nel bene o nel male. La sua opera non consiste nel dipingere un bel ritratto su una tela, o ricavare una forma dal marmo, ma nell’imprimere nell’animo umano l’immagine della divinità. Soprattutto durante i primi anni di vita, la madre ha una grande responsabilità nella formazione del carattere dei figli: le conseguenze di questa prima fase educativa si rifletteranno su tutta la loro esistenza. PP 203.1

Giovedì, 3 luglio

Un cambiamento di piani


Leggi Esodo 2:11-25. Quali eventi si verificarono rapidamente per cambiare completamente la direzione della vita di Mosè? Quali lezioni possiamo trarre da questa storia?

Cresciuto alla corte del Faraone, [Mosè] ricevette la migliore istruzione che il mondo potesse offrire all'epoca. E avendo compreso che era lui il prescelto per liberare i suoi fratelli dalla schiavitù egiziana, si sentì perfettamente in grado di svolgere il compito... Cominciò a liberarli anche se non gli era ancora stato chiesto di farlo. Uccise un egiziano, litigò con uno degli ebrei e poi fuggì per salvarsi la vita. Fu così che a Madian trovò lavoro, divenne pastore e sposò la figlia del suo datore di lavoro. Durante quei quarant'anni di vita da pastore, dimenticò la lingua egiziana e con essa la cultura egiziana. In cambio, però, imparò a prendersi cura delle pecore. Abbandonò quindi l'idea di liberare il popolo di Dio dalla schiavitù egiziana. Fu allora che Dio lo vide forte e capace e gli ordinò di tornare in Egitto e di liberare il suo popolo che gemeva.

Assassinando l’egiziano, egli era caduto nello stesso errore dei suoi padri: cercare di compiere con le proprie mani l’opera che Dio stesso aveva promesso di realizzare. Il Signore non voleva liberare il suo popolo con la forza delle armi, come Mosè aveva pensato, ma attraverso un potente intervento miracoloso, in modo che il merito della liberazione potesse ricadere esclusivamente su di lui. Ma Dio si servì perfino di questa azione sconsiderata per realizzare il suo progetto. Mosè, infatti, non era preparato alla grande missione a cui era stato destinato; doveva ancora imparare le stesse lezioni di fede che erano state insegnate ad Abramo e Giacobbe. Doveva imparare a non contare sulla forza e sulla saggezza umane, ma sulla potenza di Dio. Nella solitudine delle montagne, imparò molte lezioni. Attraverso una vita dura, piena di difficoltà e privazioni, imparò a essere paziente e a controllare i suoi impulsi. PP 205.3

Prima di gestire una qualsiasi forma di autorità, doveva imparare a ubbidire. Per poter essere il portavoce di Dio per il popolo d’Israele, Mosè doveva sottomettersi completamente alla volontà divina. Questa esperienza nel deserto era necessaria perché egli imparasse a prendersi cura, come un padre, di tutti coloro che avrebbero avuto bisogno del suo aiuto. PP 206.1

Molti potrebbero pensare che quel lungo periodo di fatica, vissuto lontano dai grandi eventi della storia sia stato solo una perdita di tempo. Dio invece, nella sua saggezza infinita, chiamò l’uomo che sarebbe diventato il condottiero del suo popolo a dedicarsi per quarant’anni a un lavoro umile come quello del pastore. PP 206.2

Lo spirito di dedizione e sacrificio, le tenere attenzioni che Mosè imparò occupandosi del gregge, lo prepararono a diventare per il popolo d’Israele un pastore pieno di compassione e pazienza. L’educazione e la cultura non avrebbero potuto offrirgli alcun privilegio che potesse sostituire la ricchezza di questa esperienza. PP 206.3

Venerdì 4 luglio

Ulteriori riflessioni

Alla corte del faraone Mosè raggiunse un alto livello di formazione civile e militare. Il monarca aveva deciso di fare del nipote adottivo il suo successore al trono e il giovane ricevette quindi un’educazione adeguata alla sua alta posizione. “E Mosè fu educato in tutta la sapienza degli Egizi ed era potente nelle sue parole ed opere”. Atti 7:22. Per la sua abilità come condottiero militare fu ritenuto uno dei migliori ufficiali dell’esercito egiziano: tutti lo consideravano un uomo straordinario. Così il piano di Satana fallì. Proprio il decreto che condannava a morte i bambini ebrei era stato utilizzato da Dio per favorire l’educazione e la preparazione della futura guida del suo popolo. PP 203.4

Gli anziani d’Israele appresero dagli angeli che il tempo della loro liberazione era vicino e che Mosè era l’uomo di cui Dio si sarebbe servito per realizzare quest’opera. Gli angeli dissero a Mosè che era stato scelto dall’Eterno per liberare il suo popolo dalla schiavitù. Supponendo che sarebbe stato necessario uno scontro militare, egli pensò che il suo compito fosse quello di guidare gli ebrei contro l’esercito egiziano. In questo caso, il suo attaccamento alla madre adottiva e al faraone avrebbero potuto costituire un ostacolo al compimento della volontà divina. PP 203.5

Mosè seppe guardare al di là del magnifico palazzo e del regno, per intravedere gli alti onori che un giorno sarebbero stati riservati alle persone fedeli a Dio, in un regno in cui il male non sarebbe più esistito. Ispirato dalla fede, vide la corona eterna che il Re dei cieli avrebbe deposto sulla fronte di coloro che avrebbero vinto la lotta contro il peccato. Questa fede lo indusse ad abbandonare i potenti per unirsi a un popolo umile, povero e disprezzato, che aveva scelto di ubbidire a Dio piuttosto che essere partecipe del male. La sua permanenza presso il faraone si protrasse fino all’età di quarant’anni. Pensava spesso alle tristi condizioni del popolo d’Israele: visitava i suoi fratelli schiavi e li incoraggiava, assicurando loro che presto Dio li avrebbe liberati. Spesso l’ingiustizia e l’oppressione di cui erano vittime provocavano in lui un sentimento di rancore che avrebbe voluto soddisfare con la vendetta. Un giorno, mentre era immerso in queste riflessioni, vide un egiziano che picchiava un ebreo: lo aggredì e lo uccise. Solo l’israelita era stato testimone di questa sua azione: Mosè seppellì immediatamente il corpo dell’egiziano nella sabbia. Aveva dimostrato di essere pronto a difendere la causa del suo popolo: egli sperava di vederlo insorgere per rivendicare la sua libertà. “Or egli pensava che i suoi fratelli intenderebbero che Dio li voleva salvare per mano di lui; ma essi non l’intesero”. Atti 7:25. Non erano ancora pronti per la libertà. Il giorno seguente, Mosè vide due ebrei che litigavano: uno di loro aveva chiaramente torto e Mosè lo rimproverò. Ma quest’ultimo, contestandogli il diritto di interferire, lo accusò del delitto. “...Chi ti ha costituito principe e giudice sopra di noi?” gli domandò e aggiunse: “Vuoi tu uccidere me come uccidesti l’Egiziano?” Esodo 2:14. PP 204.2